LA VIOLENZA
SULLE DONNE
Alcool, credenze e
sottocultura le cause comuni a tutti popoli
Recentemente ho assistito ad un intervento di
sostegno ad una giovane donna moldava,
che qui chiameremo Maria, impegnata a interrompere una relazione
violenta. Era accaduto che i colpi
ricevuti dal marito erano stati cosi violenti che era dovuta andare
all’ospedale. Una vera fortuna perché i medici una volta constatata la violenza
subita devono procedere per legge alla
segnalazione alla polizia. Maria sentendosi
protetta dall’obbligo di legge, ma anche per l’intervento di una efficace
associazione italiana che sostiene le donne oggetto di violenza, ha trovato il
coraggio di farla finita con il marito. Si
convince ed anche lei sporge la denuncia che risulta decisiva per fare
arrestare il marito, già irregolare e con i precedenti per furto sarà
certamente rispedito oltre frontiera.
Per comprendere la situazione dobbiamo dire che in
questo caso la donna violentata aveva carattere, era decisa, lavorava, era giovane
e carina, abbastanza maltrattata dal marito per decidere di farla finita ed aveva trovato gli appoggi giusti per reagire
con determinazione. Ma non sono tante le donne in queste condizioni per poter fare
altrettanto.
Questa esperienza mi sono incuriosito ed ho
indagato il problema. In Italia il fenomeno della violenza familiare è molto
più esteso di quanto non si creda, anche se in Italia esistono leggi che condannano
la violenza ed associazioni che ne sostengono le vittime. Proprio da una di queste
associazioni ho appreso che le donne (non solo italiane), sono restie a
denunciare i loro compagni o per scelte personali, dovute ad errate
convinzioni, o per condizionamenti
esterni.
Tra le scelte personali la causa principale del
silenzio è dovuto alla credenza che l’amore incondizionato possa fare il
miracolo di far diventare buono il proprio uomo, una seconda motivazione è la
vergogna della separazione davanti ai parenti e
alla comunità. Seguono il timore di lasciare i figli senza padre e il
timore di successive reazioni dell’uomo violento.
Tra i condizionamenti esterni (quindi indipendenti
dalla volontà della donna), sono la mancanza di protezione sociale per
affrontare il lungo, costoso ed incerto percorso della separazione che mette sempre
a rischio l’affidamento dei figli, la
mancanza di protezione successiva alla separazione e la mancanza di autonomia
economica per se e per i figli. Infine ci sono anche i familiari ed amici che con
avvertimenti insensati e critiche mal poste condizionano la già faticosa scelta della separazione.
Gli effetti delle violenze subite sono state classificate
in tre diversi aspetti. Con conseguenze fisiche,
con lividi, fratture e lesioni di
organi interni. Conseguenze sessuali
con infertilità, impotenza, infiammazioni, infezioni e frigidità. E soprattutto conseguenze psicologiche con
depressione, ansia, fobie, panico, insonnia, alcoolismo, droga, stress, psicosi, disturbo della personalità
ed infine suicidio.
Causa di tutte queste conseguenze sulle donne è
l’uomo violento che, quando in modo
animalesco esercita la funzione
riproduttiva viene classificato stupratore, ma questo è tuttavia un evento spesso
occasionale. Infatti nel caso dell’uomo
che convive con la sua donna , alla semplice violenza della funzione
riproduttiva si aggiunge la necessità di soddisfare il proprio ego, di esaltare il proprio potere, esercitare il proprio
possesso sulla donna misurando il grado di devozione e di sottomissione della
propria compagna della quale deve avere
piena, incondizionata e totale disponibilità fisica e mentale. In genere l’uomo
violento, è ignorante, privo di cultura e di dignità, non è mai disposto a
perdere l’oggetto del suo potere quindi
è pronto a inginocchiarsi,
piangere, promettere e implorare la propria donna quando questa decidesse
di abbandonarlo perché è riuscita a comprendere l’ inutilità della sua
devozione amorosa e quindi disposta ad accettare il fallimento dei suoi sentimenti.
L’esperienza insegna che le donne hanno una solo modo
per sottrarsi a questo calvario che le segnerà per tutta la vita, interrompere immediatamente la relazione al
primo manifestarsi di violenza. Infatti è accertato che la violenza (fisica e/o
psicologica), esercitata in ambito sentimentale è sintomo di devianza
recuperabile solo in ambito sanitario.
E’ stato anche accertato che il primo episodio di violenza crea nella vittima
una sorpresa ed umiliazione tanto profonda che se non reagisce subito si instaura
nella donna un senso di colpa e una diversa considerazione di se stessa che la obbliga
a sopportare livelli e frequenze sempre più elevati di violenza, fino ad
entrare nella sindrome di Stoccolma, ovvero una condizione psicologica di
completa sottomissione che arriva alla totale dipendenza affettiva dal proprio
aggressore senza più alternative.
In Moldova come in tutti i paesi in via di sviluppo
esistono condizioni ancor più favorevoli agli uomini che usano violenza alle
mogli. Tra queste le più evidenti sono la
necessita per le donne di sposarsi troppo presto per uscire dalla casa dei genitori, la difficoltà per le donne di giungere ad una
autonomia economica e, soprattutto, la
diffusione dell’alcool che maschera quasi sempre le vere intenzioni dei violenti,
infine alcuni antichi e deleteri detti e credenze popolari che dovrebbe presto essere
abbandonati e relegati alla memoria del folklore e delle vecchie tradizioni.
Mi riferisco ad alcuni proverbi tramandati oralmente
da generazione in generazione, quasi certamente risalenti ai tempi del medio
evo, (“la moglie non
picchiata è come una casa non scopata, non pulita”; “in casa
comanda chi porta capello”; “ pichiata, sco…ta, e al matrimonio portata” - “batuta, f---ta, si la nunta dusa” e.c.t). Probabilmente vengono ripetuti
meccanicamente da nonne e madri le quali
non percepiscono che la società è un
organo vivente che si trasforma sempre più velocemente, che produce nuovi comportamenti
e modelli sociali in sostituzione di vecchi costumi e credenze che prima
vengono consegnati alla storia più il Paese cresce culturalmente e si diffonde
il benessere.
Ma torniamo a Maria. Si era sposata molto giovane aveva
già un figlio in Moldova abbastanza grande e da emigrata regolare aveva fatto
venire il marito il quale, anche se in
attesa di una occasione di regolarizzazione, non aveva perso l’abitudine di ubriacarsi
e di esercitare violenza sull’oggetto
del suo piacere. La convivenza con questi
uomini accelera sempre la maturità della compagna la quale sopporta tutto il
peso delle incapacità tipiche degli alcolizzati. Infatti era stata lei a trovare la casa, a sottoscrivere
i contratti delle utenze e, con gusto e
decoro, a trovare la mobilia
con pochi euro.
Oggi Maria finalmente
libera dal peso del marito, vive sotto protezione dell’Associazione, in un
luogo al riparo da conoscenti, amici e parenti, ha un nuovo lavoro ed è
assistita in tutti gli aspetti giuridici per poter affermare il pieno diritto
alla sua libertà e realizzare il ricongiungimento del figlio. Con l’occasione si è anche liberata dalla soggezione
di una credenza popolare, infatti la suocera, attraverso un foglio scritto lasciatogli
sul suo letto, la minacciava di aver “pagato
la chiesa” affinché ogni male
possibile ricadesse su di lei. Maria impaurita, ci aveva mostrato quel biglietto ma dopo aver
discusso e spiegato la comicità di questa assurda tradizione tutti insieme siamo scoppiati a ridere.
Leggendo questa storia le donne moldave potrebbero
facilmente trarre errate conclusioni, la più comune è quella di considerare gli
uomini italiani migliori, ma non è affatto così. A riprova che non si deve mai
generalizzare mi viene in mente la
vicenda di una donna moldava accompagnata con un italiano, con il quale ha
avuto una figlia e la cui storia presenta aspetti assai più inquietanti di questa. Ma appunto questa
sarebbe un'altra storia.
Non si deve rimanere indifferenti a queste
disgraziate situazioni perché infine queste storie riguardano tutta la
collettività. Infatti i danni della violenza in famiglia per la società sono
enormi e si calcolano in costi per
interventi sanitari, per le forze dell’ordine e per la giustizia. Tutti
danni a carico della collettività, come
anche gli effetti indotti della inabilità o inefficienza lavorativa di tutti
i soggetti che restano coinvolti in tali
vicende.
Ogni Stato dovrebbe
avere l’interesse a fare in modo che la violenza domestica venga estirpata, soprattutto prevenendola attraverso l’ educazione
dei giovani, e reprimendo i comportamenti
violenti in modo esemplare, come appunto avveniva sotto i sovietici che
punivano l’uomo che usava violenza alla moglie in modo ammirevole ( “pe 10
sutce” - richiuso a 10 giorni) Il colpevole infatti veniva applicato a lavori
di strada sotto il controllo della polizia e lo sguardo dei cittadini che alla
presenza di tale scena potevano leggere chiaramente la colpa del condannato, perché
tale punizione veniva inflitta a chi
usava violenza alle donne.
Un metodo rieducativo originale, semplice, efficace e straordinariamente moderno, ma erroneamente
abbandonato e relegato alla memoria della Moldova sovietica. Un metodo che
personalmente introdurrei in Italia.
Autore GLOBAL, 2012